Castel Mizza, un custode silenzioso

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Tracce di un passato sperduto

Partendo da una delle borgate di Cavasso, è possibile raggiungere un piccoli sito suggestivo nel quale giacciono silenziose e inosservate le tracce di un passato quasi sperduto: i ruderi di Castel Mizza. Si sale dalla borgata “Vescovi” percorrendo un sentiero nel bosco per una ventina di minuti.

Il Castel Mizza faceva parte di una schiera di castelli sorti sui rilievi all’imbocco delle
vallate tra il Livenza e il Tagliamento. Le origini di questi castelli risalgono al 1000-1200 ca.

La maggior parte dei castelli comunicava visivamente con gli altri sorti nel circondato, come Toppo, Meduno e Solimbergo; si pensa che  tramite l’accensione di fuochi fosse possibile segnalare agli altri fortini una situazione di pericolo o potenziale emergenza.

Dalla seconda metà del Cinquecento con l’ascesa del dominio veneziano, (tra il 1400 e il 1420) i castelli dell’arco pedemontano perdettero la loro funzione di roccaforti difensive.
Considerato che anche come residenza erano angusti e scomodi, vennero progressivamente abbandonati.

Castel Mizza, tra i ruderi i sussurri del passato

Si dice che il castello sia sorto sulle fondamenta di un antico fortilizio romano, un baluardo di notevoli dimensioni. I resti delle due torri esterne e delle mura perimetrali danno un’idea della sua lunghezza, quasi a voler dominare l’intero crinale. Per guadagnare un po’ di spazio, i costruttori crearono un ampio terrazzamento nel versante sud, un’opera d’ingegno sorretta da robuste mura che ancora oggi resistono.


Miti e misteri tra le mura

Con l’arrivo della Serenissima, i castelli persero la loro importanza strategica. Erano troppo scomodi, angusti e freddi per continuare a vivere. Così, a partire dal Cinquecento, vennero gradualmente abbandonati, e i signori del tempo, come i Polcenigo, si trasferirono a valle, costruendo il Palazzo Ardit e il Palazzàt, dimore più confortevoli.

Ma le storie del castello non sono morte con il suo declino. Si narra che uno dei modi per segnalare l’arrivo di nemici, come i temibili Magiari o i Turchi, fosse accendere grandi fuochi con erba bagnata, creando un’alta colonna di fumo che si innalzava verso il cielo, un’immagine vivida e potente che doveva terrorizzare gli invasori.

Una delle leggende più radicate, sebbene poco probabile, racconta di una rete di passaggi sotterranei che collegavano i castelli tra loro. Un mistero che ha affascinato intere generazioni di ragazzi, che si sono avventurati in esplorazioni spericolate alla ricerca di quei tunnel segreti. Chissà quanti sogni di avventura sono nati da questa leggenda!

Un’altra storia popolare narra di un assedio. I difensori, ormai senza più cibo né armi, lanciarono contro gli assalitori le loro ultime due forme di formaggio. I nemici, credendo che il castello fosse ancora ricco di viveri, rinunciarono all’attacco e si ritirarono. Un gesto di astuzia che, seppur bizzarro, ci fa riflettere sull’ingegno e la disperazione che possono nascere in tempi di guerra.

E per i ragazzi del borgo, il colle del Mizza era un vero e proprio campo di battaglia. Le due cime, che con un po’ di fantasia sembrano due fortini contrapposti, erano il teatro di epiche simulazioni di guerra. Divisi in due squadre, si sfidavano a colpi di finta spada per conquistare il forte avversario, in una lotta che univa il gioco alla storia, il presente al passato.

E nelle sere d’autunno, quando l’aria si fa frizzante, il colle si trasformava in un luogo di ritrovo. Sotto la luce della luna, i ragazzi andavano a raccogliere le castagne nei boschi e poi le arrostivano, creando un’atmosfera magica e conviviale, un piccolo rito che si perdeva tra il fumo delle caldarroste e il profumo del bosco.

Castel Mizza non è solo un ammasso di pietre, ma un luogo intriso di storia, leggende e ricordi, dove il passato si fonde con il presente in un racconto senza tempo.

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