Pellegrini di Speranza

Alle radici della nostra chiesa diocesana Domenica 6 aprile 2025, primo pomeriggio: in una gradevole atmosfera primaverile una piccola delegazione delle nostre parrocchie di Cavasso Nuovo e di Fanna è salita a bordo della corriera diretta verso Concordia Sagittaria. Insieme alle altre parrocchie della nostra forania, che riunisce le comunità cristiane del maniaghese e della Val Meduna, abbiamo preso parte a un pellegrinaggio che ci ha portati a riscoprire le radici della nostra fede. Il pellegrinaggio, che è uno dei segni tipici dell’anno giubilare che stiamo vivendo, consiste nel mettersi in cammino verso un luogo sacro: esso ci aiuta a ricordare che la nostra vita è come un cammino che non procede a caso, ma bene indirizzato verso una meta che ancora non vediamo. In questo cammino siamo chiamati a sperimentare la fatica e la gioia di fare dei passi di crescita e abbiamo la possibilità di incontrare persone nuove lungo la strada. Perché a Concordia? La meta scelta, la cittadina di Concordia, è particolarmente significativa perché è il luogo dove si trova la cattedrale della nostra diocesi, ma soprattutto perché essa conserva la memoria dell’arrivo dei primi missionari cristiani nei nostri territori. Un fatto particolarmente significativo, avvenuto durante la grande persecuzione contro i cristiani dell’anno 304, è il martirio di 72 uomini e donne che si erano rifiutate di rinnegare la loro fede in Gesù. Se oggi nelle nostre terre siamo cristiani lo dobbiamo anche alla testimonianza coraggiosa di quei 72 che da ben 1721 anni sono venerati come i Santi Martiri Concordiesi. A destra, veduta della cappella dei martiri all’interno della Cattedrale. A sinistra si intravede (dietro la grata in ferro) l’urna contenente le reliquie dei martiri, dalle quali in passato trasudava un’acqua miracolosa. Le tappe del nostro pellegrinaggio Il nostro viaggio è iniziato con un momento di preghiera presso la cappellina vicino al fiume Lemene sorta su quello che la tradizione ricorda come il luogo dell’uccisione dei martiri, per poi proseguire con un piccolo pellegrinaggio a piedi verso la Cattedrale. Qui siamo rimasti un’oretta in preghiera con l’adorazione eucaristica, le confessioni e il canto dei Vespri. L’ultima tappa infine ci ha portato a fare un tuffo nel passato: scendendo di qualche metro sotto il livello del suolo abbiamo visitato gli scavi archeologici della Concordia Romana. Percorrendo un breve tratto della antica Via Appia abbiamo raggiunto la primissima chiesa costruita per custodire le reliquie dei martiri, un edificio modesto (molto più piccolo del nostro Santuario di Madonna di Strada) che ci riporta a un tempo in cui la comunità cristiana da cui discendiamo era solo un piccolo gruppetto di famiglie. Un piccolo gregge che ha iniziato a crescere rapidamente, richiedendo un ampliamento del luogo di culto: accanto alla piccola chiesa venne successivamente costruita la prima cattedrale di Concordia, consacrata nel 389 e distrutta qualche secolo dopo da un’inondazione, di cui abbiamo ammirato il bellissimo pavimento in mosaico dalla ricca simbologia. I mosaici della prima cattedrale di Concordia. L’immagine in basso è il cosiddetto “nodo di Salomone”, simbolo cristiano che rappresenta l’unione della natura umana e di quella divina nella persona di Gesù. Cosa ci portiamo a casa… Al tramonto del sole ci siamo rimessi in viaggio con le corriere per rientrare a casa. Abbiamo condiviso un’esperienza di cammino, di preghiera e di conoscenza del passato, ma soprattutto la memoria dei martiri ci ha riportati alla vera radice della nostra fede: vale la pena dare la vita per Cristo e per i fratelli. Ora sta a noi scegliere di vivere, oggi, con questo spirito, la nostra vita come “pellegrini di speranza”. I pellegrini della forania di Maniago in visita agli scavi. don Riccardo #comunitàcristiana, #pellegrinaggio, #fanna, #cavassonuovo, #foraniamaniago, #concordiasagittaria
Avvento, tempo di attesa e di speranza

L’Avvento Tempo di attesa Come ogni anno, il 25 dicembre celebreremo la grande solennità di Natale, in cui ricorderemo l’evento della nascita di Gesù, della venuta di Dio in mezzo a noi. Come ogni incontro veramente importante, quello con il Bambino di Betlemme necessita di una preparazione: il tempo di avvento, che sta volgendo al termine, ci permette di entrare in quella dimensione di attesa che tante volte viviamo con impazienza e fatica. Ci invita a rallentare, a dare il peso giusto ai giorni che passano, a preparare il cuore per accogliere la venuta del Signore in mezzo a noi. Una nascita a lungo attesa Il popolo d’Israele aveva avuto bisogno di un lungo cammino storico per accogliere la fede in un unico Dio, per stringere con lui un rapporto di alleanza, per conoscerlo poco a poco attraverso la parola dei profeti. Lungo questo cammino, durato secoli, da Abramo a Mosè, al re Davide e ai suoi discendenti fino a Giuseppe di Nazaret, in mezzo a guerre e a invasioni, nel popolo ebraico era cresciuta costantemente l’attesa di un Salvatore, di un intervento definitivo con cui Dio si sarebbe fatto vedere e avrebbe finalmente instaurato il suo regno sulla terra. Tutta questa attesa ha creato le condizioni perché gli uomini potessero accogliere la nascita di Gesù e potessero riconoscere in lui la presenza di Dio in mezzo a noi Ogni anno la Chiesa vive le quattro settimane di avvento come un tempo spirituale in cui rimettere al centro della nostra vita il senso dell’attesa della venuta (in latino adventus, da cui il termine “avvento”) di Gesù in mezzo a noi. La corona La tradizione di realizzare nelle nostre chiese ma anche nelle nostre case una corona dell’avvento ci permette di avere davanti agli occhi un segno visibile di questo tempo di attesa: una ghirlanda di rami sempreverdi (colore della speranza in una vita capace di resistere al gelo invernale e di resta in attesa della bella stagione) variamente decorata su cui sono inserite quattro candele, una per ogni domenica d’Avvento. Le candele possono avere i colori più svariati, ma spesso si sceglie di adottare il colore liturgico della domenica corrispondente, cioè quello dei paramenti usati dal sacerdote durante la celebrazione dell’eucarestia: il viola, colore penitenziale dell’attesa, per la prima, la seconda e la quarta domenica di avvento, mentre la terza domenica, associata al tema della gioia, può essere di colore rosa. La tradizione popolare ha attribuito a ciascuna candela un significato particolare, associandola a un personaggio o a un luogo legato all’attesa di Gesù: La prima candela è detta “del Profeta” poiché ricorda le profezie sulla venuta del Messia. La seconda candela è detta “di Betlemme”, per ricordare la città in cui è nato il Messia. La terza candela è detta “dei pastori” i primi che videro ed adorarono il Messia. La quarta candela è detta “degli Angeli”, i primi ad annunciare al mondo la nascita del Messia. Custodi e testimoni della luce Accendere una candela ogni domenica ci restituisce il fatto che, con il passare di queste quattro settimane, c’è un crescendo di luce e di calore fino al giorno in cui, il 25 dicembre, ricorderemo la venuta del mondo di Gesù, che è “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9), come sentiremo proclamare il giorno di Natale. Non le luci elettriche, che pur decorano le nostre case e le nostre città, ma la fiamma viva del fuoco, che ci affascina e ci trasmette un senso di calore e di fiducia. Allo stesso tempo però, la fiamma della candela è fragile, basta un colpo d’aria per spegnerla, e questo perché la anche la fede, anche il nostro rapporto con Dio, come tutte le cose belle e buone della vita ha bisogno di essere continuamente alimentata e custodita in attesa che il Signore venga a visitarci. Don Riccardo Mior #Avvento, #TempodiAttesa, #Natale, #Gesù, #Riflessioni, #Tradizioni, #Speranza, #Luce, #CoronadellAvvento, #Preghiera, #PreparazionealNatale, #Gioia, #Pace, #Comunità, #Chiesa, #Bibbia, #Profezia, #Betlemme, #Pastori, #Angeli