Se un segno può cambiare il mondo…

14 settembre 2025 Quando guardiamo la croce, cosa vediamo davvero? Cosa sentiamo dentro di noi tracciando questo segno? Sono solo due linee che si incrociano per riscrivere la storia… o è il luogo dove il dolore si trasforma in amore, un passaggio che fa della fine un nuovo inizio? ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE La festa di oggi ci richiama a un segno familiare a noi cristiani, e non solo, quello della croce: Lo si vede nelle chiese, nelle case, nelle scuole e negli esercizi pubblici, e per questo diventa un segno identitario e fonte di occasionali polemiche. Chi ha un minimo di formazione religiosa ha imparato a tracciarlo su di sé, e per questo è segno di devozione, ma anche di scaramanzia. È un simbolo talmente semplice (solo due linee incrociate) e allo stesso tempo così diffuso e ricco di storia da essere entrato persino nel panorama estetico di chi della fede in Gesù forse non ha neanche mai sentito parlare: tatuaggi, braccialetti, orecchini… la croce per qualcuno è addirittura un segno di…stile? Tutto questo a pensarci bene è molto strano, se pensiamo che la croce nel suo significato originale era uno strumento di tortura: un segno di morte. Per gli antichi infatti la morte in croce era considerata una pena tra le più orribili e infamanti, al punto che persino i primi cristiani avevano difficoltà a rappresentare Gesù come crocifisso Forse se ci riappropriassimo di questo significato non useremmo questo segno così alla leggera. Ma allora, perché per noi cristiani questo è diventato un segno così importante da diventare rappresentativo della nostra fede? La Parola di Dio di oggi ci dà due motivi: Innanzitutto, perché per noi la croce è un segno del fatto che Dio sa trasformare la morte in vita. Nella prima lettura, dal libro dei Numeri, abbiamo sentito di un episodio particolare: il popolo di Israele, in cammino nel deserto, viene minacciato dai serpenti velenosi. Dio ascolta la loro preghiera, e li salva attraverso una mediazione: per guarire chiede loro di guardare all’immagine del serpente, cioè della cosa stessa che li stava uccidendo. Questo ci dice una cosa importante: Dio può salvare dalla morte trasformando la morte stessa in un’occasione di vita. Noi saremmo propensi a scappare da ciò che ci fa male, ma Dio ci dice che anche quando non si può scappare c’è un modo per stare dentro il male e trovare una via di bene: e questo non accade gratis, come per magia, e neanche perché siamo particolarmente bravi. Accade quando siamo disposti a fare un atto di fede: guardare al serpente, accogliere il male con fede. Accogliere il male che c’è nella nostra vita riponendo la nostra fede nel fatto che c’è Qualcuno di più grande del male che viviamo, qualcuno che può donare la vita a chi crede in lui: questo ci salva. E questo è un primo significato del segno della croce di Gesù. Poi c’è un secondo significato: la croce a Gesù non capita per sbaglio, per fatalità, per sfortuna. La croce di Gesù è frutto di una sua libera scelta: Gesù si è impegnato per il bene, per fare la volontà del Padre, anche a costo di andare incontro all’odio degli uomini. Ha scelto, come ci dice il bellissimo Inno della Lettera ai Filippesi che abbiamo ascoltato come seconda lettura, di rinunciare a vivere il suo essere Dio come un privilegio egoistico per abbassarsi fino a noi, spogliandosi di tutto, facendosi simile a noi, anzi, facendosi nostro servo. E questo l’ha portato a dover affrontare la croce. La croce, dunque, ci ricorda il fatto che Gesù ha donato generosamente la sua vita per noi, amandoci fino in fondo. La croce è segno di una scelta, una scelta d’amore: “Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Questa scelta la ricordiamo ogni volta che facciamo eucarestia: Quando il sacerdote fa riecheggiare le parole di Gesù: questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, … che è per voi! Quando insieme acclamiamo: annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta. Oggi guardiamo dunque alla croce di Cristo, non solo come un segno culturale o identitario, non solo come un segno genericamente religioso o come un segno estetico, ma come un segno vivo, che ci aiuta a fare memoria. Potremmo dire che la croce di Gesù è proprio un promemoria: Promemoria dell’amore di Dio per noi, che ha offerto sé stesso Promemoria del fatto che le prove e le difficoltà che viviamo possono aprirsi alla speranza se le viviamo con fede In questa settimana proviamo dunque a ricordarci questi due significati, facciamolo ogni volta che vediamo il crocifisso, sostando in preghiera di fronte all’immagine di Gesù crocifisso. Facciamolo ogni volta che tracciamo questo segno su di noi, insieme ad altri o nell’intimità delle nostre stanze. Perché ogni giorno della nostra vita possiamo vivere annunciando la morte del Signore, proclamando la sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta. don Riccardo Mior

La fede che non dà pace, ma vita!

17 agosto 2025 Non pace, ma divisione: una fede appassionata Quella di oggi è una di quelle pagine di vangelo che sono abbastanza impegnative da ascoltare, a partire da questa affermazione di Gesù, che ha il sapore di una provocazione: Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. A sentire queste parole ci verrebbe da dire “ma Gesù, per favore, calmati un attimo: è metà agosto, fa caldo, è domenica, ma cosa vai a dire che sei venuto a gettare fuoco sulla terra? Siamo in atmosfera di vacanze, vorremmo stare un po’ in pace, e tu ci dici che non sei venuto a portare la pace. Il mondo è pieno di guerre e di contrasti e tu pure rincari la dose, dicendo che nelle famiglie si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera! Tu sei Gesù, non dovresti dire queste cose! Ma perché Gesù dice queste cose? In che senso non è venuto a portare la pace, ma la divisione? Fermiamoci un attimo sulle prime due frasi del vangelo di oggi: Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Queste due frasi ci aprono uno squarcio nell’interiorità e nella vita emotiva di Gesù, un uomo che vive il desiderio e l’angoscia. Innanzitutto il desiderio: Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei (desidero) che fosse già acceso! Questo fuoco bruciante che Gesù vuole accendere è l’incendio dell’amore di Dio, il fuoco dello Spirito Santo a Pentecoste. Risuonano nelle nostre orecchie le parole al c 22, prima dell’ultima cena: Gesù dice ai suoi ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi prima di andare al Padre. Gesù, dunque, è un uomo mosso da un desiderio che lo infiamma, che lo fa scalpitare, che lo mette in moto: desidera realizzare il progetto di Dio, il Regno di Dio. Desidera accendere l’amore di Dio nelle persone che incontra. Veniamo poi al secondo sentimento, quello dell’angoscia: Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Questo battesimo di cui parla Gesù non è il rito del battesimo di Giovanni, ma è un modo per parlare della sua morte e resurrezione. Gesù si immergerà nelle acque oscure della morte per poi riemergere da risorto. Tutti i racconti della passione ci riportano il momento drammatico del Getsemani, dove Gesù prova tristezza e angoscia, e addirittura vorrebbe sottrarsi.   Desiderio e angoscia sono collegati. Perché per poter portare a compimento il progetto di Dio, per poter accendere sulla terra l’incendio del suo amore Gesù sa che deve passare attraverso il battesimo della morte. E questo è profondamente vero per tutti noi: di solito le cose che più ci stanno a cuore, che più desideriamo, richiedono sempre dei passaggi difficili, di sacrificio, che ci mettono in difficoltà. Desiderio e angoscia sono le due facce del futuro che scegliamo. Una coppia che mette al mondo dei figli: c’è il desiderio del loro bene, ma anche un po’ di angoscia e preoccupazione per il loro futuro. Una persona che intraprende un’attività lavorativa: desiderio di costruire un progetto che ci piace e angoscia, perché richiederà sacrificio, perché potrebbe fallire… Desiderio e angoscia sono le due facce della passione. Quando qualcuno è appassionato di qualcosa allora inevitabilmente prova nel suo cuore due sentimenti: un desiderio bruciante, come un fuoco, ma anche una buona dose di preoccupazione e di angoscia. E questa tensione è sana, perché fa parte di una vita viva.   La fede di Gesù è così: è alimentata da questa tensione, è viva. In passato alcuni filosofi sostenevano che la religione è l’oppio dei popoli, una sorta di sedativo per tenere buone le masse, facendo sì che sopportassero le difficoltà del tempo presente con la promessa della felicità nell’aldilà. Ecco per Gesù la fede è l’esatto contrario: non è un sedativo o un palliativo, ma è un fuoco. Non ti addormenta, ma ti sveglia. Non ti fa stare tranquillo, ma ti costringe a camminare. Capiamo allora perché Gesù è così violento e duro nelle sue affermazioni: non è violento, è appassionato! E quando si ha vicino una persona appassionata possono succedere due cose: o ci si lascia entusiasmare e coinvolgere dalla sua passione, oppure questa ci da tremendamente fastidio. È quello che capita nella prima lettura, in cui il regno di Giuda entra in guerra. E c’è un uomo, il profeta Geremia, a cui il Signore ha affidato la missione di avvertire il popolo che si sono schierati dal lato sbagliato, che la loro posizione è infelice, che non dovrebbero scendere in battaglia. Geremia sa che le cose andranno a finire male, potrebbe decidere di scappare, e invece, proprio perché ha un cuore appassionato e tiene al suo popolo decide di parlare. Il risultato? Dà fastidio Si metta a morte Geremìa, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole, poiché quest’uomo non cerca il benessere del popolo, ma il male Ma come Geremia, tu sei un profeta, tu non dovresti dire queste cose, dovresti sostenere la causa del tuo re, non scoraggiare il popolo. E invece Geremia parla, perché ha a cuore non tanto di preservare una pace di facciata, dove tutti dicono “signorsì” e intanto vanno incontro al baratro, ma ha a cuore il bene del suo popolo. E per perseguire il bene crea divisione, dà fastidio, come Gesù. Cosa ci dice il vangelo di oggi? Che la fede di Gesù era animata da una grande passione per il progetto del Regno di Dio, da una grande passione per il Bene. Questa passione comporta un grande desiderio e una grande inquietudine, una grande angoscia. Questa passione, se uno la vive, può dare fastidio, al punto da causare rotture e divisioni. Per questo chiediamoci:

Prima Messa don Riccardo a Fanna e Cavasso

Prima Messa don Riccardo insieme alle comunità Fanna e Cavasso Un’Eucarestia senza muri, sotto un Arco Santo naturale, nel parco del Santuario… Anche il Creato si fa Chiesa per le comunità che si incontrano Il 15 giugno 2025, due domeniche dopo l’ordinazione, c’è stata una giornata memorabile, quando ho presieduto una prima Santa Messa solenne per le parrocchie di Fanna e Cavasso Nuovo. Per riunire le due parrocchie la scelta è caduta su una “chiesa” un po’ particolare: abbiamo celebrato l’eucarestia in un angolo ombroso del parco del Santuario di Madonna di Strada, sotto a una volta di foglie verdi mosse dal vento, con robusti tronchi come colonne e un pavimento di erba morbida sotto ai piedi. In mezzo al verde dell’estate appena iniziata spiccavano in modo particolare il bianco e l’oro dei paramenti, che con la loro lucentezza ricordavano come la bellezza della creazione non nasce dal caso, ma ha un centro e un’origine da cui tutto proviene e tutto ritorna: questo centro è il mistero di Dio, che noi cristiani riconosciamo essere Padre, Figlio e Spirito Santo. È proprio il mistero della Santissima Trinità, al centro della celebrazione liturgica di quella domenica, che ci ha mostrato l’immagine e la storia non di un Dio che è da solo e a cui piace fare da solo, ma di un Dio che è insieme e a cui piace fare insieme, un Dio che ci chiama a vivere e a celebrare la comunione. Questa è stata una coincidenza bella e significativa, intonata con il tipo di lavoro e di cammino che i nostri parroci, le nostre comunità e che la Chiesa tutta stanno facendo in questo tempo, all’insegna del camminare insieme e delle scelte condivise. Per questo motivo ho trovato questa circostanza particolarmente felice per celebrare questa Prima Messa con voi, e molti dettagli della celebrazione stessa ne hanno fatto una vera e propria celebrazione della comunione, sia la presenza di tutti i sacerdoti con cui ho vissuto e collaborato in questi mesi con voi (don Dario, don Alex e don Adrian), sia la partecipazione delle due comunità riunite di Cavasso Nuovo e Fanna, come anche la presenza di alcune persone da altre parrocchie. È stato bello ed emozionante poter vedere tante persone, tanti volti che ormai ho imparato a conoscere, presenti lì per celebrare insieme nel nome di Gesù. L’aver organizzato e reso possibile una celebrazione di questo tipo è stato per me il dono più grande, per cui sono profondamente grato ai parroci e a tutti coloro che hanno collaborato e partecipato, sia nel canto e nell’animazione della Messa, che nell’allestimento della “chiesa all’aria aperta”, che nel servizio liturgico (i nostri preziosi chierichetti!), che in tutto ciò che riguarda il pranzo. Tuttavia, insieme ad essa e a completamento di essa la comunità ha reso visibile il proprio affetto nei miei confronti e la propria partecipazione alla mia gioia con alcuni altri regali: una piccola croce che porterò al collo ricordandomi di voi, un album con le foto scattate durante l’ordinazione e gli auguri dei ragazzi del catechismo, un’immagine artistica della Madonna di Strada e anche un generoso contributo per poter sostenere alcune spese personali. A conclusione del momento celebrativo e degli auguri di rito la festa si è prolungata sotto il tendone allestito accanto alla Casa Accoglienza, perché in fondo non c’è vera comunione senza un po’ di buona convivialità. Se ritorno col pensiero a queste intense giornate il sentimento che abita il mio cuore è sicuramente quello della gratitudine, gratitudine per il bene e per l’affetto che ho ricevuto e che continuamente ricevo, che supera sicuramente quello che ho dato. Giornate come queste accendono il cuore e rinfrancano il passo, perché mi ricordano che vale la pena impegnare la propria vita al servizio dell’amore gratuito di Dio. Vorrei concludere citando un pezzo del discorso di auguri fatto da don Dario, che trovo valido e intonato con questo inizio di cammino: «La vita offerta di Gesù, il suo amore gratuito, è il cuore della vita umana e allo stesso tempo ciò che più manca, perché nessun vero Bene umano potrà sorgere senza partire da un senso di gratuità. Il mondo, il nostro mondo è ricco di comodità ma povero di gratuità, non ha bisogno di più leggi o di superuomini e superdonne, ma di uomini e donne che imparino a servirsi gli uni gli altri come fratelli. Una vita di relazioni segnate da questo amore gratuito è il cuore e il senso della Comunità cristiana che il tuo sacerdozio, Riccardo, è chiamato a servire e nutrire, perché le comunità a te affidate diventino segno in questo mondo, che questo amore è possibile» don Riccardo Mior

Il giorno in cui la Preghiera diventa Vita

7 giugno 2025, ordinazione di don Riccardo Mior L’abbraccio che mi ha scelto… … Scelto per amare: il mistero che mi precede Ci sono momenti nella vita che non sono facili da descrivere. Ci sono giorni che sono diversi da tutti gli altri giorni. Giorni che per quanto a lungo e con attenzione siano attesi e preparati senti che in fondo restano indescrivibili, perché sono giorni di passaggio, giorni che ti cambiano la vita. Personalmente il 7 giugno 2025 è stato uno di questi giorni, perché è il giorno in cui sono diventato prete. Il cammino di formazione per i preti della nostra diocesi dura circa sette anni: un tempo lungo, fatto di tante esperienze, incontri, soste e ripartenze. Un cammino che mi ha permesso di scendere in profondità in me stesso e di uscire incontro agli altri e, in entrambi questi movimenti, conoscere qualcosa di più di Gesù e della sua Chiesa fino a decidere che quello che di più bello potevo fare della mia vita era metterla al servizio del Signore e dei fratelli. Un cammino che mi ha portato, un po’ inaspettatamente, anche a incontrare voi, comunità cristiane di Fanna e Cavasso Nuovo. È stato bello vedervi presenti a Concordia, in quella calda giornata di giugno, perché vi ho sentiti vicini in quello che per me e per il mio confratello e compagno di strada don Marco Puiatti costituiva il coronamento del percorso di formazione. Di tutti i sette sacramenti forse quello dell’Ordine Sacro è tra quelli che si vedono più raramente, eppure credo che questa celebrazione sia particolarmente bella, perché trasmette un senso forte di Chiesa: c’è il vescovo, e attorno a lui i preti e i diaconi, c’è tanta gente da diverse comunità, ci sono i canti, ci sono gesti e parole dal significato profondo. Gesti che parlano di una scelta di vita, fatta di impegno personale ma anche di consegna nelle mani di Dio, come l’emissione delle promesse e la prostrazione a terra degli ordinandi mentre tutta l’assemblea invoca su loro la protezione e l’aiuto dei santi. Gesti che parlano anche della trasmissione di un “ministero” (cioè di un compito, di un servizio) che passa di pastore in pastore fin dalle origini della Chiesa, a partire dagli apostoli e da Gesù stesso: l’imposizione delle mani – prima del solo vescovo, poi di tutti i preti presenti – sul capo degli ordinandi, la grande preghiera di ordinazione (che ripercorre tutti i grandi passaggi della storia del Popolo di Dio, da Mosè, al Tempio fino a Gesù e agli apostoli), fino alla consegna del calice e della patena, l’unzione delle mani con il crisma profumato, la vestizione con gli abiti sacerdotali e l’abbraccio di pace con il vescovo e con tutti gli altri preti. La sensazione forte e bella che ho vissuto è stata quella di essere inserito in una storia che mi precede e che mi supera, una storia in cui non sono io in primo luogo a fare delle cose, ma in cui scelgo di “lasciarmi fare”, modellare, ispirare dalla Parola e dal sacramento che ho ricevuto. Una parola forte, come quella di Gesù che nell’Ultima Cena dice ai suoi discepoli: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portate frutto e il vostro frutto rimanga […]. Questo vi comando, che vi amiate gli uni gli altri». In questo passo, che don Marco e io abbiamo scelto fosse proclamato in questo giorno, Gesù rende manifesto il suo amore per i suoi e chiede loro di ricambiarlo, come possono, rimanendo nel suo amore e amandosi gli uni gli altri come lui li ha amati per primo. È sia una dichiarazione di affetto che la consegna di un compito, di un servizio, di una missione: quella di abitare il mondo con lo stile dell’amore reciproco, sull’esempio di Cristo stesso. Questa è la missione di ogni battezzato e della Chiesa tutta, ma la sento particolarmente rivolta a noi preti, chiamati a ripetere le parole e i gesti di Gesù per le nostre comunità. A questo proposito mi risuona nel cuore l’invito che il vescovo, secondo il rito, ripete a ciascuno dei preti appena ordinati mettendo nelle loro mani il calice e la patena con cui celebreranno l’eucarestia: «Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero di Cristo Signore». Don Riccardo Mior

Un Giubileo di nuove Amicizie!

Accoglienza, Gioia, Amicizia Il nostro Giubileo a San Vito! Condividiamo come piccola testimonianza il cartellone realizzato dal gruppo di catechismo medie di Fanna. Tra i 140 bambini e ragazzi delle varie Parrocchie della nostra Diocesi che il 25 maggio si sono incontrati per festeggiare il loro Giubileo a San Vito al Tagliamento c’era anche una rappresentanza di Fanna! Don Riccardo Alcuni di noi ragazzi partecipanti al catechismo di Fanna, siamo andati a San Vito per la giornata dei ragazzi organizzata dalla Diocesi di Concordia-Pordenone. All’arrivo ci hanno accolto mettendo in scena uno spettacolino che parlava di questo villaggio le cui fondamenta stavano crollando a causa della continua ossessione degli abitanti per l’oro, trascurando così le cose importanti. Alla fine di questa scenetta ci hanno diviso in più gruppi, i quali erano formato da membri provenienti da varie parrocchie. Con questi gruppi abbiamo svolto delle attività molto divertenti. Alla fine delle attività abbiamo finito di guardare la continuazione dello spettacolo e siamo tornati a casa. Abbiamo portato con noi il cartellone che abbiamo realizzato al catechismo durante l’anno, dal titolo «La speranza è…» È stata una bellissima esperienza vedere tutti qui ragazzi come noi ci siamo sentiti ben accolti come se ci conoscessimo da tanto tempo, un’esperienza che rifaremmo di nuovo perché abbiamo trascorso una giornata meravigliosa, emozionante, gioiosa e spensierata. Grazie! Emma, Matteo e Giovanni

Pasqua: la luce che riportiamo nel cuore, l’annuncio che vince il buio

Pasqua: la meta di un cammino Anche quest’anno la Pasqua a lungo attesa è arrivata: domenica 20 aprile le campane hanno suonato a festa, il sole splendeva, nelle case le famiglie si sono ritrovate a festeggiare. Come ogni anno, però, la Domenica di Pasqua non è una giornata a sé stante, ma è il culmine di un cammino di preparazione spirituale che abbiamo percorso come comunità cristiana. Questo cammino è iniziato già mercoledì 5 marzo, quando con l’austero segno delle ceneri abbiamo dato inizio alla Quaresima, tempo di penitenza e di conversione, con il quale ci siamo preparati a rivivere – durante la Settimana Santa – gli ultimi momenti della vita terrena di Gesù, dal suo ingresso trionfale a Gerusalemme fino alla Risurrezione, il mattino di Pasqua. Sono state giornate intense, che ci hanno visti coinvolti e impegnati in molti eventi significativi. Passati questi giorni è utile provare a “riavvolgere il nastro” per poter cogliere ancora meglio il senso e il significato di quello che abbiamo vissuto e celebrato insieme. Giovedì Santo “Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13, 1). Al calare delle tenebre, la chiesa parrocchiale di Fanna si è trasformata  in un cenacolo, quel luogo intimo e familiare in cui Gesù ha voluto raccogliere attorno a sé i suoi discepoli per consegnare loro la sua eredità: il sacramento dell’Eucarestia e il comandamento dell’amore. Quella sera 19 bambini della comunione hanno vissuto il gesto della lavanda dei piedi, gesto che ci ricorda come essere cristiani richiede di vivere in uno spirito di amore e di servizio a imitazione di quello che Gesù ha fatto per noi.  Venerdì Santo “Era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti” (Is 53,3-5). Il Venerdì Santo è l’unico giorno in cui la Chiesa non celebra l’Eucarestia: alle 15.00, con una liturgia semplice e solenne allo stesso tempo, dove l’elemento chiave è il silenzio, abbiamo fatto memoria della passione di Gesù. Alla sera ci siamo fermati ancora una volta a meditare sul suo cammino doloroso verso il Calvario attraverso la preghiera della Via Crucis. Sabato Santo “Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. Io pongo sempre davanti a me il Signore, sta alla mia destra, non potrò vacillare. Per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra” (Sal 15, 5-11). “Grande silenzio su tutta la terra: il Re dorme”. Inizia pressappoco così un’antica omelia sul sabato santo. Un silenzio che sa di attesa, di vita che freme sotto la superficie, pronta a sbocciare. Nel buio della notte, la benedizione del fuoco e la luce del cero pasquale hanno dato inizio alla grande veglia. Con una candela in mano ci siamo messi in ascolto delle letture dell’Antico Testamento che pian piano hanno svelato ai nostri occhi la luce di un Dio che libera e che salva dal male e dalla morte. Al momento del Gloria, un suono di campane ha squarciato l’aria: il Signore della Vita è Risorto, e noi con lui! Domenica di Pasqua “Ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: “Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno”». Ed esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri” (Lc 24,4-9). Una notizia sconvolgente, ci ha detto don Alex il mattino di Pasqua: Gesù è Risorto! La Pasqua ci consegna la speranza in una Vita che vince la morte, ma anche il compito e la missione di portare nel mondo la luce che abbiamo incontrato in questi giorni. Dopo aver attraversato cammino lungo il deserto della Quaresima abbiamo accompagnato Gesù nel suo ingresso a Gerusalemme nella Domenica delle Palme, ci siamo seduti con lui alla tavola dell’amore e del servizio dell’Ultima Cena (Giovedì Santo), abbiamo condiviso con lui il dolore della Passione (Venerdì Santo) e il silenzio del sepolcro (Sabato Santo)… Dopo questo lungo viaggio finalmente sentiamo risuonare l’annuncio di gioia che tanto aspettavamo:  «La morte e la vita si sono affrontate in un prodigioso duello: il Signore della Vita era morto, ora regna, vivo. Cristo, nostra speranza, è risorto e precede i suoi in Galilea!» (dalla sequenza Victime Paschali). Ringraziamo Rosa Lombardi per le foto della Veglia di Pasqua 

Le Palme, dalla gioia della folla al silenzio della croce

Domenica delle Palme  “Tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!»” (Lc 19, 37-38). Questo giorno è come un grande portale che ci fa entrare nella Settimana Santa: il gesto della processione con i rami di ulivo (o con rami di palma intrecciati, secondo una bella tradizione del Sud) ci ha aiutati a metterci nei panni dei discepoli che, più di 2000 anni fa, accolsero Gesù alle porte di Gerusalemme, acclamandolo come messia. Questo clima iniziale di festa un po’ stride con il fatto che in questo stesso giorno abbiamo ascoltato anche il racconto della passione, quest’anno nella versione di Luca: gioia e dolore, festa e lutto sono i due volti della vita, inscindibilmente intrecciati, e per questo li ritroviamo nelle celebrazioni  pasquali. Sarà la domenica di Risurrezione a sciogliere questo dilemma, mostrandoci la vittoria della Vita sulla morte. Nelle foto momenti delle varie celebrazioni, in ordine: Chiesa di San Remigio (Cavasso), Chiesetta di San Silvestr0 (Fanna), Chiesetta di San Leonardo (Orgense) e Santuario Madonna di Strada.

Pellegrini di Speranza

Alle radici della nostra chiesa diocesana Domenica 6 aprile 2025, primo pomeriggio: in una gradevole atmosfera primaverile una piccola delegazione delle nostre parrocchie di Cavasso Nuovo e di Fanna è salita a bordo della corriera diretta verso Concordia Sagittaria. Insieme alle altre parrocchie della nostra forania, che riunisce le comunità cristiane del maniaghese e della Val Meduna, abbiamo preso parte a un pellegrinaggio che ci ha portati a riscoprire le radici della nostra fede. Il pellegrinaggio, che è uno dei segni tipici dell’anno giubilare che stiamo vivendo, consiste nel mettersi in cammino verso un luogo sacro: esso ci aiuta a ricordare che la nostra vita è come un cammino che non procede a caso, ma bene indirizzato verso una meta che ancora non vediamo. In questo cammino siamo chiamati a sperimentare la fatica e la gioia di fare dei passi di crescita e abbiamo la possibilità di incontrare persone nuove lungo la strada. Perché a Concordia? La meta scelta, la cittadina di Concordia, è particolarmente significativa perché è il luogo dove si trova la cattedrale della nostra diocesi, ma soprattutto perché essa conserva la memoria dell’arrivo dei primi missionari cristiani nei nostri territori. Un fatto particolarmente significativo, avvenuto durante la grande persecuzione contro i cristiani dell’anno 304, è il martirio di 72 uomini e donne che si erano rifiutate di rinnegare la loro fede in Gesù. Se oggi nelle nostre terre siamo cristiani lo dobbiamo anche alla testimonianza coraggiosa di quei 72 che da ben 1721 anni sono venerati come i Santi Martiri Concordiesi. A destra, veduta della cappella dei martiri all’interno della Cattedrale. A sinistra si intravede (dietro la grata in ferro) l’urna contenente le reliquie dei martiri, dalle quali in passato trasudava un’acqua miracolosa. Le tappe del nostro pellegrinaggio Il nostro viaggio è iniziato con un momento di preghiera presso la cappellina vicino al fiume Lemene sorta su quello che la tradizione ricorda come il luogo dell’uccisione dei martiri, per poi proseguire con un piccolo pellegrinaggio a piedi verso la Cattedrale. Qui siamo rimasti un’oretta in preghiera con l’adorazione eucaristica, le confessioni e il canto dei Vespri. L’ultima tappa infine ci ha portato a fare un tuffo nel passato: scendendo di qualche metro sotto il livello del suolo abbiamo visitato gli scavi archeologici della Concordia Romana. Percorrendo un breve tratto della antica Via Appia abbiamo raggiunto la primissima chiesa costruita per custodire le reliquie dei martiri, un edificio modesto (molto più piccolo del nostro Santuario di Madonna di Strada) che ci riporta a un tempo in cui la comunità cristiana da cui discendiamo era solo un piccolo gruppetto di famiglie. Un piccolo gregge che ha iniziato a crescere rapidamente, richiedendo un ampliamento del luogo di culto: accanto alla piccola chiesa venne successivamente costruita la prima cattedrale di Concordia, consacrata nel 389 e distrutta qualche secolo dopo da un’inondazione, di cui abbiamo ammirato il bellissimo pavimento in mosaico dalla ricca simbologia. I mosaici della prima cattedrale di Concordia. L’immagine in basso è il cosiddetto “nodo di Salomone”, simbolo cristiano che rappresenta l’unione della natura umana e di quella divina nella persona di Gesù. Cosa ci portiamo a casa… Al tramonto del sole ci siamo rimessi in viaggio con le corriere per rientrare a casa. Abbiamo condiviso un’esperienza di cammino, di preghiera e di conoscenza del passato, ma soprattutto la memoria dei martiri ci ha riportati alla vera radice della nostra fede: vale la pena dare la vita per Cristo e per i fratelli. Ora sta a noi scegliere di vivere, oggi, con questo spirito, la nostra vita come “pellegrini di speranza”. I pellegrini della forania di Maniago in visita agli scavi. don Riccardo #comunitàcristiana, #pellegrinaggio, #fanna, #cavassonuovo, #foraniamaniago, #concordiasagittaria

Avvento, tempo di attesa e di speranza

L’Avvento Tempo di attesa Come ogni anno, il 25 dicembre celebreremo la grande solennità di Natale, in cui ricorderemo l’evento della nascita di Gesù, della venuta di Dio in mezzo a noi. Come ogni incontro veramente importante, quello con il Bambino di Betlemme necessita di una preparazione: il tempo di avvento, che sta volgendo al termine, ci permette di entrare in quella dimensione di attesa che tante volte viviamo con impazienza e fatica. Ci invita a rallentare, a dare il peso giusto ai giorni che passano, a preparare il cuore per accogliere la venuta del Signore in mezzo a noi. Una nascita a lungo attesa Il popolo d’Israele aveva avuto bisogno di un lungo cammino storico per accogliere la fede in un unico Dio, per stringere con lui un rapporto di alleanza, per conoscerlo poco a poco attraverso la parola dei profeti. Lungo questo cammino, durato secoli, da Abramo a Mosè, al re Davide e ai suoi discendenti fino a Giuseppe di Nazaret, in mezzo a guerre e a invasioni, nel popolo ebraico era cresciuta costantemente l’attesa di un Salvatore, di un intervento definitivo con cui Dio si sarebbe fatto vedere e avrebbe finalmente instaurato il suo regno sulla terra. Tutta questa attesa ha creato le condizioni perché gli uomini potessero accogliere la nascita di Gesù e potessero riconoscere in lui la presenza di Dio in mezzo a noi Ogni anno la Chiesa vive le quattro settimane di avvento come un tempo spirituale in cui rimettere al centro della nostra vita il senso dell’attesa della venuta (in latino adventus, da cui il termine “avvento”) di Gesù in mezzo a noi. La corona La tradizione di realizzare nelle nostre chiese ma anche nelle nostre case una corona dell’avvento ci permette di avere davanti agli occhi un segno visibile di questo tempo di attesa: una ghirlanda di rami sempreverdi (colore della speranza in una vita capace di resistere al gelo invernale e di resta in attesa della bella stagione) variamente decorata su cui sono inserite quattro candele, una per ogni domenica d’Avvento. Le candele possono avere i colori più svariati, ma spesso si sceglie di adottare il colore liturgico della domenica corrispondente, cioè quello dei paramenti usati dal sacerdote durante la celebrazione dell’eucarestia: il viola, colore penitenziale dell’attesa, per la prima, la seconda e la quarta domenica di avvento, mentre la terza domenica, associata al tema della gioia, può essere di colore rosa. La tradizione popolare ha attribuito a ciascuna candela un significato particolare, associandola a un personaggio o a un luogo legato all’attesa di Gesù: La prima candela è detta “del Profeta” poiché ricorda le profezie sulla venuta del Messia. La seconda candela è detta “di Betlemme”, per ricordare la città in cui è nato il Messia. La terza candela è detta “dei pastori” i primi che videro ed adorarono il Messia. La quarta candela è detta “degli Angeli”, i primi ad annunciare al mondo la nascita del Messia. Custodi e testimoni della luce Accendere una candela ogni domenica ci restituisce il fatto che, con il passare di queste quattro settimane, c’è un crescendo di luce e di calore fino al giorno in cui, il 25 dicembre, ricorderemo la venuta del mondo di Gesù, che è “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9), come sentiremo proclamare il giorno di Natale. Non le luci elettriche, che pur decorano le nostre case e le nostre città, ma la fiamma viva del fuoco, che ci affascina e ci trasmette un senso di calore e di fiducia. Allo stesso tempo però, la fiamma della candela è fragile, basta un colpo d’aria per spegnerla, e questo perché la anche la fede, anche il nostro rapporto con Dio, come tutte le cose belle e buone della vita ha bisogno di essere continuamente alimentata e custodita in attesa che il Signore venga a visitarci. Don Riccardo Mior #Avvento, #TempodiAttesa, #Natale, #Gesù, #Riflessioni, #Tradizioni, #Speranza, #Luce, #CoronadellAvvento, #Preghiera, #PreparazionealNatale, #Gioia, #Pace, #Comunità, #Chiesa, #Bibbia, #Profezia, #Betlemme, #Pastori, #Angeli

Orari d'ufficio

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